Se pensavate che Roma fosse solo antiche rovine, chiese e fontane barocche, vicoli lastricati di sampietrini (croce e delizia dei romani), siate pronti a ricredervi. Nel cuore del quartiere Trieste si nasconde una gemma architettonica che sembra uscita da un libro di fiabe: il quartiere Coppedè. Siete di fronte a un vero e proprio microcosmo onirico. Attraversatelo con gli occhi pieni di meraviglia e i piedi ben saldi a terra, perché alle volte vi sembrerà di volare, come in dipinto surreale di Chagall.
L’indirizzo delle meraviglie
Fiore all’occhiello del quartiere Trieste, il Coppedè è un affascinante angolo della Città Eterna. Qui, l’Art Nouveau strizza l’occhio al Gotico, al Rinascimento, al Barocco, regalando un’atmosfera misteriosa e giocosa, che condivide con la vicina Villa Torlonia. Composto da 17 villini e 26 palazzine, non è un vero e proprio quartiere, quanto piuttosto un isolato. Situato tra Via Tagliamento, Via Clitunno, Via Serchio, Via Ombrone e Via Arno, si sviluppa intorno a Piazza Mincio, da cui si dipartono eleganti vie a raggiera. Passeggiando tra archi, torri e decorazioni in ferro battuto, la prima domanda che sorge è chi possa aver immaginato questo angolo unico al mondo. È il momento di raccontarvi come è andata.
Chi era Coppedè?
Correva l’anno 1915 e Roma, all’epoca già capitale d’Italia da quasi mezzo secolo, viveva un fermento edilizio senza precedenti. Fu così che la Società Anonima Edilizia Moderna affidò la progettazione di un quartiere esclusivo e signorile a un architetto fuori dal comune: Gino Coppedè. Fiorentino di nascita, cresciuto all’ombra delle meraviglie artistiche della sua città, era un artista sopra le righe. Il suo stile rompeva le convenzioni in un’originale rivisitazione dei tratti gotici, rinascimentali, barocchi, combinati con il liberty, imperante nel primo Novecento.
Nascita di un capolavoro
Per la Città Eterna aveva come obiettivo quello di realizzare una zona residenziale esclusiva, pensata per l’alta borghesia. Nacque così un vero e proprio mondo fantastico, dove ogni palazzo sembra raccontare una fiaba diversa. La ricchezza decorativa esterna dei villini e delle palazzine si riflette anche negli appartamenti, per i quali furono utilizzati materiali di pregio come la maiolica smaltata o i mosaici in stile pompeiano. Su questo, però, possiamo solo usare l’immaginazione. Ancora oggi, infatti, sono abitazioni private e, quindi, non visitabili. Coppedè lavorò al quartiere fino al 1927, anno della sua morte. A quel punto, il completamento dei lavori passò al genero e allievo Paolo Emilio André, che rimase fedele alla visione anticonvenzionale dell’architetto.
Un’entrata trionfale
La nostra passeggiata inizia dall’arco monumentale edificato nel 1921 e situato in Via Dora che, come un portale magico, costituisce l’ingresso al quartiere Coppedè. Il richiamo è agli archi trionfali della Roma antica. Attraversandolo con il naso all’insù, non sfuggono le elaborate decorazioni e un grande lampadario in ferro battuto, che sembra uscito da una taverna medievale. L’arco, tripudio di fregi, stucchi, mascheroni, bugnati, statue, balaustre e logge, si inserisce tra due torri, una ottagonale e una quadrata. Non solo. Unisce i Palazzi degli Ambasciatori, anch’essi riccamente decorati con torrette, balconi e numerosi dettagli che mescolano motivi floreali e simboli esoterici. Ancora oggi, è viva la tradizione del quartiere di ospitare ambasciate straniere, come l’Ambasciata del Marocco in Via Brenta e quella della Nuova Zelanda in Via Clitunno.
La Fontana delle Rane
Superato l’arco ci ritroviamo in Piazza Mincio, il cuore pulsante del quartiere Coppedè con, al centro, la Fontana delle Rane, realizzata nel 1924. Non fatevi ingannare dalle sue dimensioni ridotte! La fontana rappresenta un singolare esempio di decoro urbanistico, sorprendente per l’epoca. È formata da una vasca centrale sui cui bordi spiccano delle rane, mentre quattro coppie di figure sottostanti reggono ciascuna una conchiglia. Fermatevi qui per un po’ e lasciatevi trasportare dal suono delle acque e dall’incrocio giocoso degli zampilli, quasi fosse una danza surreale. È un’opera che non solo cattura l’occhio, ma nasconde anche una storia curiosa.
I segreti di Piazza Mincio
Secondo una diffusa credenza la sera del 27 giugno 1965 i Beatles, dopo il concerto presso il Teatro Adriano (oggi cinema) nel quartiere Prati, trovandosi nei pressi di Piazza Mincio e complice il caldo estivo soffocante, pare si siano tuffati nella fontana, rendendo questo luogo ancora più leggendario. E non finisce qui. Piazza Mincio è protagonista di un singolare fenomeno che avviene il giorno dell’equinozio di primavera, quando al tramonto la luce del sole si infila sotto l’arco e, con un suggestivo gioco di riflessi fra i palazzi della piazza, colpisce il getto più alto della fontana, colorandolo di un bel rosso vermiglio.
Dimore bizzarre per una Roma signorile
A questo punto, volgendo lo sguardo a 360 gradi, vi accorgerete che la vera magia è negli edifici che circondano la piazza. Di fronte a voi, si ergono i famosi Villini delle Fate, un vero capolavoro di eclettismo architettonico. Si tratta di un edificio formato da tre corpi di fabbrica, caratterizzati da una totale asimmetria fra di loro. Se osservate le facciate, infatti, vi accorgerete che non sono tutte uguali, anzi! Tra loggiati irregolari, arcate che si rincorrono, scalinate e tettoie, spiccano i meravigliosi decori, come i fregi geometrici, le scene medievali e i motivi floreali. Rende il tutto ancora più fiabesco una ricca vegetazione, formata da alberi maestosi, cespugli ben curati, palmette eleganti e qualche pianta rara. Fidatevi, vi sembrerà di osservare un quadro animato!
Tre città in un quartiere
Sul pavimento dell’ingresso, un mosaico rotondo accoglie i visitatori con la scritta «I Villini delle Fate: Mneme, Melete, Aede», mentre ogni villino rappresenta un omaggio a tre città italiane: Roma, Firenze e Venezia. Divertitevi a scoprire, sulle tre facciate, le raffigurazioni di Dante e Petrarca ritratti accanto alla Cupola di Santa Maria del Fiore, a Firenze; della Lupa, simbolo capitolino dipinto con Romolo e Remo su un balconcino e, infine, il Leone di San Marco, che fronteggia un veliero e richiama alla mente la città di Venezia. Un momento… qualcuno di voi ha notato il singolare orologio astronomico che spicca su una delle facciate dei villini? Se la risposta è negativa, non demoralizzatevi. Piuttosto, dedicate tutto il tempo che avete a disposizione per ammirare le tante decorazioni che si rincorrono su queste magnifiche costruzioni… saranno una continua scoperta di dettagli e sorprese.
Sotto il segno del ragno
Volgendo lo sguardo verso le altre palazzine che si affacciano su Piazza Mincio, lo stile cambia leggermente, diventando a tratti più sobrio. Gli edifici, con i loro loggiati e balconi che sembrano ritagli nella pietra, si sviluppano su più piani. Lo vedete quel palazzo caratterizzato da linee più severe e da un’aria un po’ enigmatica? È il Palazzo del Ragno, che prende il nome dall’enorme ragno dorato raffigurato, su fondo nero, sopra il portone d’ingresso. Lontano dall’essere solo una decorazione, simboleggia l’instancabile operosità umana. Così come il richiamo al lavoro si trova nel cavaliere ritratto tra due grifoni e la scritta «Labor», sulla loggia al terzo piano. Sulla facciata, invece, spicca la frase in lingua latina «Artis praecepta recentis / Maiorum exempla extendo», che vuol dire “Rappresento i precetti dell’arte moderna attraverso gli esempi degli antichi” e sembra, a tutti gli effetti, una dichiarazione d’intenti dell’architetto Coppedè.
Il saluto eterno dell’Ospes Salve
Nel quartiere più misterioso di Roma non poteva mancare un edificio sibillino come il Palazzo senza nome. È soprannominato Ospes Salve, dall’iscrizione in latino sulla facciata: «Ingredere has aedes / quisquis es amicus eris / hospitem sospito» (“Entra in questo luogo / chiunque tu sia, sarai amico / io proteggo l’ospite”). Si invita ogni ospite a entrare, con la promessa di protezione e amicizia. Risalente al 1926, è considerato una sorta di “arrivederci” dell’architetto Coppedè, dal momento che potrebbe essere l’ultimo da lui progettato. Statue, fregi, bugnati e iscrizioni si intrecciano dando vita a un travolgente dialogo visivo. Nel progettare il monumentale ingresso, Coppedè si è ispirato alla scenografia del film muto Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914. E, se la facciata è un invito, l’interno è un viaggio. Passata la soglia, ci si trova in un atrio decorato con cavallucci marini e lucertole che si rincorrono lungo le pareti.
Coppedè: un set per tutte le emozioni
La capacità, da parte del quartiere Coppedè, di evocare emozioni tanto differenti ha fatto sì che diversi registi ne siano rimasti ammaliati. Per citare alcuni esempi, nel 1959 Nanni Loy lo scelse per girare alcune scene di Audace colpo dei soliti ignoti con Vittorio Gassman. E poteva Dario Argento, maestro del thriller, resistere al richiamo di queste architetture? Ovviamente no! Il regista ha utilizzato gli interni e gli esterni del Palazzo Ospes Salve per il film L’uccello dalle piume di cristallo (1970). Piazza Mincio, invece, è il luogo sinistramente illuminato su cui si affaccia la Biblioteca Filosofica di Inferno (1980). Ma attenzione, non pensate che il Coppedè sia solo il regno del gotico! Nel 1973, il regista Nando Cicero lo trasformò nello scenario surreale di una commedia sexy all’italiana: Ultimo tango a Zagarol, parodia irriverente che fece ridere l’Italia e aggiunse un tocco di leggerezza al curriculum cinematografico del quartiere.
Perdersi tra le stradine
Dopo aver ammirato i suoi luoghi più celebri, il quartiere Coppedè ha ancora tanto da offrire. Le sue strade secondarie sono caratterizzate da un fascino meno appariscente, ma altrettanto suggestivo. Su Via Tanaro, per esempio, si affacciano edifici dalle linee architettoniche più geometriche, con decorazioni sobrie e di grande eleganza. I villini Liberty di Via Clitunno, su cui si trovano la già citata Ambasciata della Nuova Zelanda e la Rappresentanza Commerciale della Federazione Russa, presentano uno stile più misurato rispetto alle ardite sperimentazioni delle piazze principali, ma non per questo meno affascinante. Infine, non perdetevi i giardini nascosti dietro le elaborate cancellate, che rivelano angoli verdi di rara bellezza, piccoli rifugi di tranquillità in uno dei quartieri più sorprendenti di Roma.
Qualche consiglio in più per la vostra passeggiata
- Qual è il momento perfetto per visitare il Coppedè? Sebbene sia sempre affascinante, la sua bellezza è esaltata diversamente a seconda degli orari della giornata. Al mattino presto esplorerete il quartiere in totale tranquillità, tra stradine semideserte. L’ora magica però è, senza dubbio, il tramonto. La luce calda e dorata del sole che cala dona al quartiere un’atmosfera quasi irreale, perfetta per passeggiare e scattare foto memorabili. Anche la sera ha il suo perché, quando il Coppedè acquisisce un fascino misterioso alla luce dei lampioni, perfetto per chi ama un ambiente più gotico ed enigmatico.
- Dopo una passeggiata tra le strade del quartiere, è il momento di coccolarsi con un brunch o buon aperitivo in una delle zone limitrofe. Approfittate di uno dei bar o locali situati nel quartiere Trieste, che vi consigliamo qui (link all’articolo su bar, pasticcerie e ristoranti di Trieste-Salario).