Capolavoro del Barocco romano, Piazza Navona non è solo una piazza, ma un caleidoscopio di storia, arte e curiosità, in cui i colori caldi delle facciate storiche si mescolano all’eterna sfida architettonica che ha visto protagonisti Bernini e Borromini. Antico stadio romano, trasformato poi in chiassoso luogo di mercati e feste popolari, Piazza Navona, con quell’aria da salotto buono di Roma, popolare e aristocratico allo stesso tempo, è un vivace crocevia di turisti, artisti di strada e romani che, senza remore o timori, tornano a passeggiare sempre qui. E voi, siete pronti a perdervi tra le mille sorprese di questo gioiello romano?
Piazza Navona: sotto il segno dell’agone
Partiamo dalla sua singolare forma. Vi siete mai chiesti come mai Piazza Navona abbia una caratteristica sagoma ovale, visibile soprattutto se la si osserva dall’alto? Facciamo un passo indietro (o meglio, più di uno!) e catapultiamoci nel I secolo, più precisamente tra l’85 e l’86, quando l’imperatore Domiziano decise di edificare in questo luogo un enorme stadio, spinto dalla passione per i giochi atletici di origine greca. La struttura stessa dell’impianto si ispirava agli stadi di Olimpia e Atene, con un’estremità a forma di emiciclo e l’altra rettilinea e leggermente obliqua. Lo stadio, inoltre, era decorato con raffinati elementi architettonici e sculture di suggestione greca tra cui figurava, probabilmente, la celebre statua parlante di Pasquino, situata oggi in Piazza San Pantaleo, a due passi da Piazza Navona.
E qui, è d’uopo una piccola digressione. Oggi si presenta come un torso marmoreo piuttosto malconcio e poco loquace eppure, fra il XVI e il XIX secolo, era il re indiscusso delle “chiacchiere di piazza”. Raffigurante Menelao, immortalato mentre sostiene il corpo di Patroclo, fu scoperto nel 1501 nei pressi di Piazza Navona e collocato nel luogo attuale dal cardinale Oliviero Carafa, pronto a diventare una sorta di influencer dell’epoca. Ai suoi piedi (o, spesso, al collo) venivano appesi cartelli con versi satirici destinati a potenti e prepotenti, le cosiddette “pasquinate”, che davano voce al malumore popolare con pungente ironia. In pratica, Pasquino era l’incarnazione di quella battuta che tutti vorremmo fare, ma che non abbiamo il coraggio di dire ad alta voce.
Ora però, torniamo al nostro stadio. Con una lunghezza di 265 m e una larghezza di 106 m, poteva ospitare fino a 30.000 spettatori e costituiva il fulcro di spettacolari gare atletiche. Dall’insigne passato deriva anche l’attuale toponimo della piazza: il termine “agones”, come all’epoca erano denominate le gare ginniche, si trasformò in “agone”, “innagone”, “navone” e, infine, Navona. Se chiudete gli occhi, potete quasi sentire il ruggito della folla romana, mentre i migliori atleti si sfidavano per la gloria.
Ma la gloria, come sapete, è fugace. Con la caduta dell’Impero romano, lo stadio fu abbandonato e, nei secoli, si trasformò in una piazza cittadina. I suoi contorni ovali, però, restano intatti ancora oggi, quasi a rappresentare un omaggio silenzioso al suo passato.
Durante il Medioevo, la cavea dello stadio fu progressivamente occupata da abitazioni e le rovine integrate nei nuovi edifici, mentre l’arena venne utilizzata per mercati, specialmente di frutta e verdura. Ma non tutto, per fortuna, è andato perduto! Nel corso di varie campagne di scavo, svoltesi tra il XIX e la prima metà del XX secolo, sono riemersi numerosi reperti archeologici, tra cui busti marmorei, oggi visitabili, insieme ai resti dello Stadio di Domiziano, nei Sotterranei di Piazza Navona. L’accesso si trova in Piazza di Tor Sanguigna, dove è possibile curiosare le antiche vestigia attraverso un’apertura a livello strada. L’ambiente sottostante è un alternarsi di imponenti strutture, come gradinate, arcate su pilastri e muri in laterizio, illuminati da una poetica luce naturale, che filtra grazie a strategiche chiostrine. I sotterranei sono aperti al pubblico e offrono diverse tipologie di tour guidati (per informazioni, consultate il sito ufficiale dello Stadio di Domiziano (link al sito, stadiodomiziano.com).
Un concentrato di arte, rivalità e intrighi
È arrivato il momento di fare un salto nel tempo fino al XVII secolo quando il cardinale Giovanni Battista Pamphilj, ambizioso prelato che, nel 1644, sarebbe diventato papa con il nome di Innocenzo X, alla domanda «Perché non sfruttare un angolino di Roma per una dimora modesta?», decise di erigere un sontuoso palazzo in Piazza Navona, sull’area di alcune casette di famiglia. Modesta, però, proprio no. Il sontuoso Palazzo Pamphilj, progettato dall’architetto Girolamo Rainaldi, cela al suo interno capolavori borrominiani come la Sala Palestrina e la Galleria Cortona, quest’ultima affrescata da Pietro da Cortona con scene della vita di Enea. Oggi, il palazzo ospita l’Ambasciata del Brasile ed è possibile visitarlo gratuitamente ogni lunedì e mercoledì (per informazioni, cliccate qui).
Ma attenzione: la vera protagonista della trasformazione di Piazza Navona è Donna Olimpia Maidalchini, cognata del papa e donna furba e spregiudicata, con un debole per il potere e il lusso. Nel 1647 papa Innocenzo X ordinò la costruzione di una fontana al centro della piazza, al posto di una vasca-abbeveratoio per cavalli. A chi affidare il progetto? All’inizio, sembrava che l’architetto Francesco Borromini fosse la scelta ovvia. Ma mai sottovalutare il genio (e l’astuzia) del rivale Gian Lorenzo Bernini.
Escluso dai favori papali – o, meglio, da quelli di Donna Olimpia – Bernini architettò un colpo di scena degno di un romanzo, facendole recapitare un modellino d’argento della fontana: elegante, brillante, irresistibile. Donna Olimpia, che aveva un debole (anche) per gli oggetti preziosi, mostrò il modellino al papa, che approvò il progetto. Il risultato? La magnifica Fontana dei Quattro Fiumi, uno dei capolavori assoluti del Barocco romano, fu realizzata dal Bernini. E non solo. Il Bernini mise mano anche alla Fontana del Moro, situata proprio davanti al palazzo di famiglia Pamphilj. Borromini, dal canto suo, non rimase a guardare e firmò il progetto della Chiesa di Sant’Agnese in Agone, un’opera maestosa che ospita oggi le spoglie dello stesso Innocenzo X e di alcuni suoi parenti. Quindi, la prossima volta che passeggerete tra le sue fontane, pensate a Bernini che conquista il papa con un modellino d’argento, a Donna Olimpia che orchestra il potere al pari di una regina di scacchi e a tutti i segreti che si nascondono dietro i suoi marmi. Con una storia così, chi ha bisogno delle serie tv?
Il lago barocco che fece impazzire Roma
Nell’estate del 1652 papa Innocenzo X decise di aggiungere un tocco di follia acquatica alla Città Eterna e a questa piazza tanto amata. Ovviamente non agì da solo ma, al suo fianco, imperversava sempre la sua intraprendente cognata. Con un colpo di genio (o di pazzia, a seconda dei punti di vista) fecero tappare gli scarichi delle fontane monumentali della piazza, lasciando che l’acqua sommergesse la parte centrale della piazza, che all’epoca era leggermente concava, trasformandola in un’enorme piscina urbana. Nobili e popolani accorsero per sguazzare nel divertimento, attraversando la piazza allagata a cavallo, in carrozza e con carretti a mano, che spesso finivano miseramente a mollo. Il Lago di Piazza Navona divenne un appuntamento irrinunciabile delle estati romane fino al 1866, quando papa Pio IX decise di porre fine a questa tradizione. Fu così che i romani dissero addio all’acqua e alle risate, ma non alla piazza, che è rimasta sempre spettacolare. Proviamo a conoscerla meglio?
Dove l’acqua diventa arte
Partendo dal lato meridionale di Piazza Navona, non correte subito verso la Fontana dei Fiumi, ma lasciatevi incantare da una prima meraviglia acquatica. Mix perfetto di eleganza barocca e forza marinaresca, la Fontana del Moro è formata da una vasca polilobata, progettata nel 1576 da Giacomo della Porta, che Gian Lorenzo Bernini trasformò in una spettacolare scenografia, popolata da tritoni e creature marine. Il pezzo forte? Una scultura centrale che cattura tutta l’energia del mare: un tritone, scolpito da Giovanni Antonio Mari, allievo di Bernini, colto nell’atto di trattenere con fatica un enorme pesce. I tratti somatici marcati di questa figura colpirono talmente tanto i romani che lo soprannominarono affettuosamente “il Moro”, nome che la fontana porta tutt’oggi.
Fontana dei Quattro Fiumi
A questo punto, è ora di avvicinarci al centro di Piazza Navona, dove si trova un vero e proprio racconto visivo, che Bernini ha sapientemente scolpito nel marmo tra il 1648 e il 1651. La Fontana dei Quattro Fiumi è un’opera che non solo cattura lo sguardo, con le sue enormi figure scolpite che sembrano muoversi, ma affascina anche l’udito, grazie allo scrosciare potente dell’acqua, e trasporta chiunque la osservi in terre remote. Eppure, per cogliere davvero la meraviglia di quest’opera, occorre avvicinarsi e osservarne i dettagli più nascosti. I quattro giganti di marmo, che rappresentano i maggiori fiumi dei continenti allora noti, il Nilo, il Gange, il Danubio e il Río de la Plata, furono scolpiti dai collaboratori più fidati del Bernini, rispettivamente Giacomo Antonio Fancelli, Claude Poussin, Antonio Raggi e Francesco Baratta. Il Nilo, con il suo viso velato, cela il mistero delle sue sorgenti, rimaste sconosciute fino al XIX secolo; il Río de la Plata, invece, è protagonista di una curiosa leggenda: se, per secoli, il suo braccio alzato è stato considerato un gesto di critica nei confronti dell’attigua facciata della Chiesa di Sant’Agnese in Agone, progettata dal Borromini (tesi confutata dal fatto che, quando Bernini realizzò la Fontana dei Quattro Fiumi, l’edificio di culto non era stato ancora costruito), in realtà potrebbe indicare lo stupore alla vista del tramonto del sole. Ma, le vedete quelle piante che crescono ai piedi del Río de la Plata? Sì, sono proprio fichi d’India, all’epoca simboli esotici di mondi lontani!
E non è tutto. Accanto ai fiumi, Bernini ha inserito animali di ogni tipo: il leone africano sotto una palma mossa dal vento, l’armadillo (per i romani del tempo un vero e proprio “mostro”) mentre si inerpica sulla roccia, un grosso pesce che nuota nella vasca, un serpente marino che sbuca dall’acqua e un serpente di terra che striscia. Osservate la fontana con attenzione e divertitevi a scovarli. Ma, attenzione! Secondo una lugubre credenza, un giorno una strega ha lanciato la cosiddetta maledizione degli amanti: gli innamorati che girano in senso antiorario intorno alla Fontana dei Quattro Fiumi, si lasciano entro sei giorni. La leggenda non è stata mai né confermata, né smentita; a voi, quindi, l’ardua sentenza.
La fontana è sormontata da un enorme obelisco di epoca romana, rinvenuto su Via Appia, sulla cui cima svetta una colomba con un ramoscello d’ulivo, a ricordo dello stemma dei Pamphilj, la famiglia del pontefice Innocenzo X. Non tutti, però, conoscono il lato burlone del Bernini. Racconta un aneddoto dell’epoca che, il giorno dell’inaugurazione della fontana, nel 1651, papa Innocenzo X rimase affascinato dalla sua potente bellezza, ma anche stupito dalla totale assenza di acqua! La fece sgorgare il Bernini, come per magia, solo pochi minuti prima che i presenti lasciassero la piazza, di fronte allo stupore di tutti.
Foto Fontana del Nettuno
Lasciando alle spalle la grandiosa Fontana dei Quattro Fiumi, con il suo berniniano “effetto wow”, incamminiamoci verso un altro gioiello di Piazza Navona: la Fontana del Nettuno, un trionfo di acqua e marmo, ma anche un racconto di battaglie mitologiche, artisti, papi e… pentole! Si erge con eleganza all’estremità settentrionale della piazza ed era conosciuta un tempo come la Fontana dei Calderai, dal nome dell’antico vicolo dei Calderai (o Calderari), una stradina gremita di botteghe di fabbri e venditori di stoviglie. Insomma, un angolo perfetto per far rifornimento di utensili da cucina nel Cinquecento.
La fontana fu progettata nel Cinquecento da Giacomo Della Porta, ma dovette aspettare un bel po’ per il suo “look definitivo”: le sculture che vedete oggi furono aggiunte nel 1878, grazie a Antonio Della Bitta e Gregorio Zappalà. Il primo si occupò del possente Nettuno che lotta contro una piovra (e qui non c’è bisogno di tifare: Nettuno vince sempre!), mentre lo Zappalà aggiunse le Nereidi, i putti e i cavalli marini, che rendono la scena ancor più spettacolare.
Ora però, facciamo un passo indietro. Siamo nel 1574 papa Gregorio XIII commissionò al Della Porta due fontane da piazzare alle estremità di Piazza Navona. Furono così erette le Fontane del Moro e del Nettuno. Se la Fontana del Moro fu poi completata dal Bernini, perché si trovava proprio davanti al Palazzo Pamphilj, dimora di Donna Olimpia Maidalchini, quella del Nettuno rimase in disparte fino al 1873, quando il Comune di Roma indisse un concorso per abbellirla. Ed ecco che apparve il Nettuno, con la piovra e gli altri elementi scultorei, regalando alla fontana il suo aspetto attuale e il nome che tutti conosciamo.
Sant’Agnese in Agone: il Barocco che abbraccia
A questo punto, prepariamoci a un viaggio mozzafiato nella Chiesa di Sant’Agnese in Agone, uno dei gioielli del Barocco romano. Eretta nel 1651 sul luogo in cui la giovane Agnese subì il martirio nel IV secolo, questa chiesa è un’esplosione di marmi, affreschi, sculture e genialità architettonica. Guardate la facciata: sembra quasi che vi abbracci, con la sua forma concava che cattura e spinge verso l’alto, dove le doppie colonne e i pilastri si arrampicano fino alla lanterna della cupola. Per ottenere questo effetto, Borromini invase i palazzi adiacenti. Lo vedete quel finestrone sotto il campanile sinistro? Non fa parte della chiesa, ma del Palazzo Pamphilj.
La costruzione della chiesa fu un vero gioco delle sedie: iniziarono i Rainaldi (Girolamo e il figlio Carlo), poi entrò in scena Borromini, che lavorò per quattro anni prima di essere rimpiazzato nuovamente da Carlo Rainaldi, finché, nel 1672, la chiesa non fu completata. L’interno conquista con il suo contrasto cromatico da manuale: il bianco dei marmi, il rosso della pietra persichina e il verde delle colonne dell’altare maggiore, prelevate dall’Arco di Marco Aurelio in Piazza Colonna. E ora, siete pronti per una piccola avventura? Nei pressi della cappella di San Filippo Neri una scala conduce a una cripta cimiteriale, dove riposano i membri della famiglia Pamphili; mentre, dalla Cappella di Sant’Agnese si giunge al Sacellum Infimum, la grotta del martirio della santa. Grazie a un recente restauro, la cripta e i suoi affreschi sono stati riportati al loro splendore.
Le dritte giuste per una visita al top!
Qual è il modo più suggestivo per raggiungere Piazza Navona? Noi vi diamo due suggerimenti. Potete percorrere Corso del Rinascimento, partendo da Piazza di Sant’Andrea della Valle o da Piazza delle Cinque Lune; e, fidatevi, il viaggio inizia già qui! Questa strada è costellata di piccole e grandi sorprese, come il maestoso Palazzo della Sapienza e la Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, capolavoro di Borromini, con la sua cupola a spirale, simile a un ricciolo di panna montata. In Via degli Staderari, una stradina laterale del corso, vi attende la Fontana dei Libri, eseguita nel 1927 su progetto dell’architetto Pietro Lombardi. Incastonata nel muro, è decorata con quattro grandi libri scolpiti in pietra, tra cui si inserisce la testa di un cervo, dalla cui bocca sgorga un piccolo getto d’acqua. Si tratta di un omaggio del Comune di Roma, a ricordo degli antichi rioni e dei mestieri scomparsi. E ancora, non può sfuggirvi Palazzo Madama, oggi sede del Senato della Repubblica. Si tratta di un imponente edificio eretto nel XV secolo dalla famiglia fiorentina dei Medici, che deve il suo nome a Madama Margherita d’Austria, moglie del duca Alessandro de’ Medici, che soggiornò a lungo nel palazzo. A questo punto, percorrete Corsia Agonale (che prende il nome dai giochi che si tenevano nello Stadio di Domiziano) e… godetevi lo spettacolo! Oppure, potete percorrere Via della Cuccagna, che parte da Piazza San Pantaleo e sembra quasi un corridoio segreto. Appena attraversato l’arco visivo creato dai palazzi storici che vi si affacciano, Piazza Navona si aprirà in tutta la sua maestosità, come un teatro all’aperto.