C’è un luogo, a Roma, dove ogni angolo nasconde un frammento di storia. Situato nel Rione Sant’Angelo il Ghetto ebraico non è solo un quartiere, ma un avvincente racconto fatto di arte, cultura e tradizioni. Quindi, mettetevi comodi, perché sta per iniziare una rappresentazione unica, dove le strade diventano quinte teatrali e i palazzi fanno da scenografia a una storia senza tempo. Siete pronti a lasciarvi trasportare? Allora, che lo spettacolo abbia inizio!
Teatro di Marcello: il punto di partenza perfetto
Il sipario si alza sull’imponente Teatro di Marcello, da cui parte uno dei percorsi più affascinanti per immergersi nel Ghetto. Collocato tra il Campidoglio e il Tevere, è considerato il “nonno” del Colosseo perché ha ispirato la costruzione dell’anfiteatro più famoso del mondo. Concepito dalla mente geniale di Giulio Cesare, fu completato intorno al 13 a.C. dall’imperatore Augusto, che lo dedicò al nipote Marco Claudio Marcello. Fissò lo schema del teatro classico romano, con la cavea semicircolare poggiava su strutture in muratura e non su un declivio naturale, come nel teatro greco. Fino al IV secolo quando, per il teatro, è iniziata una seconda vita… anzi, più di una. Trasformato in fortezza nel Medioevo, nel XVI secolo è diventata la sontuosa residenza nobiliare prima dei Savelli e poi degli Orsini.
La strada verso il Ghetto
E adesso, arriva il bello. Per ammirare da vicino questa meraviglia, visitabile solo all’esterno, vi basterà attraversare il cancello su via Montanara. Da qui, entrerete in un’area archeologica dove il tempo sembra essersi fermato. Seguendo l’antica pavimentazione romana, calpesterete le stesse pietre che un tempo furono percorse dai cittadini dell’Urbe, immergendovi in un’atmosfera sospesa tra storia e leggenda. Ammirate i resti del Tempio di Bellona, dedicato alla dea della guerra, e del Tempio di Apollo Sosiano. Infine, il vostro percorso vi condurrà al maestoso Portico di Ottavia, un complesso monumentale che, nei secoli, ha visto susseguirsi fasti imperiali e nuove destinazioni d’uso, fino a diventare la soglia simbolica del Ghetto di Roma.
Il Portico di Ottavia: un passato glorioso
Riuscite a sentire il vivace e chiassoso vociare di un mercato del pesce medievale? No, non siamo stati catapultati in un porticciolo sul mare, ma ci troviamo di fronte ai resti del complesso del Portico di Ottavia. Eretto tra il 27 e il 23 a.C. da Augusto in onore della sua cara sorella, era una vera e propria celebrazione familiare. Includeva i templi di Giunone Regina e Giove Statore, due biblioteche, una greca e una latina, e un ambiente adibito alle riunioni pubbliche. Al suo interno, invece, era presente un museo all’aperto, dedicato all’esposizione di opere d’arte. Ma il tempo ha fatto il suo lavoro e, nei secoli, questo portico ha visto ben altro.
Tra pesci e curiosi tributi
Nel Medioevo, il Portico di Ottavia (o meglio, quello che ne restava) da quinta solenne di cerimonie imperiali diventa un frenetico mercato del pesce. Lo ricorda una targa, risalente al XVI secolo, che recita «Capita piscium hoc marmoreo schemate longitudine majorum usque ad primas pinnas inclusive conservatoribus danto» (ossia “Le teste dei pesci più lunghi di questa lapide fino alle prime pinne comprese devono essere date ai Conservatori”). In pratica, tutte le teste dei pesci superiori alla dimensione della lastra di marmo (1,13 metri) dovevano essere consegnate ai Conservatori. Una delle tasse più originali della storia!
Una chiesa… con sorpresa
Quasi nascosta dal Portico di Ottavia, sorge la Chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, che deve il suo nome proprio al vecchio mercato del pesce. L’edificio, consacrato nell’VIII secolo e privo di facciata, fu restaurato nel 1611 per volere di Pio IV, poi nel 1741 e, nuovamente, alla fine dell’Ottocento. L’interno è diviso in tre navate da imponenti pilastri con capitelli ionici ornati di festoni. E ora, aguzzate la vista. In fondo alla navata sinistra, non perdetevi il pregevole affresco di Benozzo Gozzoli Madonna con bambino e angeli… un finale di tutto rispetto! La chiesa, inoltre, è stata anche il palcoscenico di un avvincente episodio storico. La notte del 13 marzo 1347, il rivoluzionario Cola di Rienzo e i suoi seguaci si radunarono qui, prima di partire per l’epica conquista del Campidoglio.
Ghetto… e ritorno
Era il 12 luglio 1555 quando papa Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum, cambiò per sempre il destino della comunità ebraica di Roma. Fu ordinata la creazione di un ghetto, confinato in quest’area all’epoca malsana e flagellata dalle piene del Tevere. La zona venne circondata da mura e l’accesso regolato da due pesanti porte (poi diventate otto), che si chiudevano al tramonto per riaprirsi all’alba. Tra queste vie la libertà restò un miraggio fino al 1798 quando, con la nascita della Repubblica Romana, le mura si aprirono per la prima volta. Fu solo una breve illusione, però, perché la Restaurazione riportò indietro le lancette della storia e richiuse nuovamente il quartiere nell’isolamento. La svolta definitiva giunse nel 1848 quando, su ordine di papa Pio IX, le mura furono abbattute. Si pose così fine a un’epoca di segregazione, aprendo le porte a un nuovo capitolo per la comunità ebraica.
Piazza delle Cinque Scole
Ma nuovi colpi di scena attendevano i romani. Proseguendo lungo Via del Portico d’Ottavia, all’incrocio tra Piazza Costaguti e Piazza delle Cinque Scole, sotto i vostri piedi apparirà un curioso perimetro in travertino. Si tratta dell’antica collocazione della Fontana del Pianto. Progettata nel XVI secolo da Giacomo Della Porta, a fine Ottocento fu smontata e la vasca superiore trasferita su un’altra fontana al Gianicolo. Il 1930, però, fu un grande anno per la nostra fontana, che ritornò a casa, recuperando l’aspetto originario. Ma, anziché essere collocata nel punto iniziale, fu posizionata in Piazza delle Cinque Scole. Lo strano nome è dovuto al fatto che, un tempo, qui si ergeva l’edificio che ospitava le cinque scuole ebraiche (Scola del Tempio, Scola Nova, Scola Siciliana, Scola Castigliana e Scola Catalana), ognuna con le proprie tradizioni. Il palazzo fu demolito nel primo Novecento per consentire la costruzione degli argini (detti muraglioni) del Tevere.
Il Tempio Maggiore: un simbolo di riscatto
A questo punto, occorre fare un passo indietro. Siamo nel 1870. Immaginate una Roma che trema sotto il passo deciso dell’esercito italiano guidato dal generale Raffaele Cadorna. Con un colpo di cannone, si apre la breccia di Porta Pia e il potere temporale dei papi si dissolve come fumo nel vento. Mentre Roma si prepara a diventare capitale del Regno d’Italia, entra in scena il Tempio Maggiore (o Sinagoga). Completato nel 1904 su progetto degli architetti Osvaldo Armanni e Vincenzo Costa, è una maestosa costruzione Liberty, con una cupola in alluminio che brilla sotto il sole romano. Tempio ebraico più grande d’Europa, rappresenta il simbolo del riscatto della comunità ebraica romana. All’interno, il Museo Ebraico ospita pregevoli cimeli che raccontano la storia degli ebrei romani. Dal 1932 nel Tempio Maggiore trova posto il Tempio Spagnolo, un oratorio che ricorda quando gli ebrei, espulsi dalla Spagna, trovarono rifugio nella Città Eterna.
Il palazzo del futuro
A questo punto, dobbiamo fare un passo indietro e ritornare in Via del Portico d’Ottavia. Qui nel 1468 Lorenzo Manili, un mercante di grandi ambizioni, acquistò vari edifici con il sogno di riunirli in un’unica residenza. Peccato che il portafoglio non collaborò e il progetto restò a metà. Il mercante, però, non si arrese e fece incidere sulla facciata dell’incompleto Palazzo Manili un’iscrizione che parlasse di lui alle generazioni future. Se vi avvicinate, noterete che l’anno di costruzione dell’edificio è il 2221. Sì, avete letto bene, ma c’è un trucco: Manili era talmente appassionato di storia romana che l’anno di costruzione fu calcolato dalla fondazione di Roma (753 a.C.) e corrisponde di fatto, secondo il nostro calendario, al 1468. Non distogliete subito lo sguardo da questa bizzarra facciata, su cui scoprirete marmi originali dell’antica Roma e iscrizioni in latino.
Il passaggio segreto del Ghetto
Proseguendo per Piazza Costaguti si incontra il Tempietto del Carmelo. Eretto nel 1759 per custodire un’icona di Santa Maria del Carmelo, poi sconsacrato e occupato per molti anni da un ciabattino. Lo vedete quell’arco alla sua sinistra? Si chiama Vicolo Costaguti e porta a uno stretto cortile senza via d’uscita. Qui, nel XIX secolo, fu aperto un passaggio ad arco che conduceva a via della Reginella, quindi fuori dal Ghetto. Da questo accesso riuscirono a fuggire molti ebrei, sottraendosi alla retata nazista del 16 ottobre 1943. A ricordo delle vittime delle persecuzioni, queste strade sono piene delle cosiddette “pietre d’inciampo”, sampietrini in ottone ideati dall’artista tedesco Gunter Demnig che si trovano di fronte all’ultima abitazione dei deportati e ne riportano il nome, la data di nascita e quella di deportazione.
La Fontana delle Tartarughe, tra arte…
Eccoci finalmente in Piazza Mattei, il salotto elegante dell’antico ghetto ebraico. Qui troneggia la Fontana delle Tartarughe, un gioiello architettonico che ha visto la luce tra il 1581 e il 1588 grazie a Giacomo della Porta. Dalla forma polilobata, è decorata da quattro fanciulli in bronzo che giocano con i delfini, opera del maestro fiorentino Taddeo Landini. C’è un colpo di scena, però… Sapete chi ha realizzato quelle deliziose tartarughine? Gian Lorenzo Bernini nel 1658, durante un restauro voluto da papa Alessandro VII. Oggi, per proteggerle da atti vandalici, sono state sostituite con delle copie, mentre le originali sono al sicuro presso i Musei Capitolini.
…e improvvisi colpi di scena
Ora, però, arriva la parte più succosa della storia. Secondo una leggenda, un giorno il duca Mattei, appassionato di gioco d’azzardo, perse in un colpo solo il patrimonio familiare e il futuro suocero si rifiutò di concedergli in sposa la figlia. Per tutta risposta, il duca fece realizzare in una notte questa magnifica fontana. Il giorno dopo, invitò a palazzo la promessa sposa e suo padre e, mostrando l’opera da una finestra affacciata sulla piazza, esclamò: «Ecco che cosa è in grado di realizzare in poche ore uno squattrinato Mattei!». La leggenda non ci dice se il matrimonio sia stato felice, ma sappiamo per certo che il duca lasciò il segno, facendo murare la finestra da cui avevano ammirato la fontana. Cercate nella piazza il civico 18… di fronte a voi, apparirà una finestra murata e affrescata.
Il miracolo barocco
Le sorprese del Ghetto non finiscono qui. In Piazza Campitelli si affaccia un gioiello barocco nato da un’emozionante storia di fede e speranza: la Chiesa di Santa Maria in Campitelli. Immaginate Roma nel 1656: la peste infuria, la città è nel panico e tutti cercano protezione divina. Ecco che entra in scena la Madonna di Campitelli, un’immagine sacra alla quale il popolo si affida. In suo onore, viene edificata una chiesa su progetto di Carlo Rainaldi, allievo del Bernini. Sulla facciata le colonne in travertino creano giochi di chiaroscuro e guidano lo sguardo verso la cupola e l’elegante lanterna barocca. Ma il vero incanto è all’interno. Un intreccio di forme e prospettive conduce verso l’altare maggiore dove è custodita l’icona miracolosa: un’opera preziosissima, realizzata in lamina di rame dorato e smalti, probabilmente risalente all’XI secolo. Le cappelle laterali ospitano opere di artisti barocchi, tra cui Sebastiano Conca e Luca Giordano.
I tesori gastronomici della cucina kosher
Passeggiando per le vie del Ghetto, preparate le vostre papille gustative, perché il gran finale è servito! Qui potrete tuffarvi a capofitto nelle tradizioni culinarie della cucina giudaico-romana e kosher. Dai leggendari carciofi alla giudia (croccanti, dorati, una vera esplosione di bontà), ai filetti di baccalà. Dallo stracotto, un piatto a base di carne di manzo tenerissima, alla concia di zucchine fino al mitico tortino di aliciotti e indivia. E, per chi ama i dolci, la tradizione giudaico-romanesca vi aspetta con la torta ricotta e visciole, i biscottoni con l’uvetta, gli amaretti alle mandorle e l’antica pizza ebraica, detta anche “di Beridde”, un dolce ripieno di canditi e uvetta. Sappiatelo: il primo morso di una di queste bontà segnerà l’inizio di un amore eterno.
Qualche consiglio pratico
- L’ingresso all’area archeologica del Teatro di Marcello è gratuito. L’area è aperta tutti i giorni, dalle 9 alle 19 nel periodo estivo e dalle 9 alle 18 in quello invernale.
- L’accesso al Tempio Maggiore di Roma è consentito con visita guidata attraverso l’ingresso al Museo Ebraico, che è chiuso il sabato e durante le festività ebraiche. Per programmare al meglio la vostra visita, consultate il sito ufficiale del Museo Ebraico (link al sito).
- Le giornate migliori per visitare il Ghetto ebraico sono quelle centrali della settimana. È possibile, infatti, che alcuni negozi e ristoranti siano chiusi il venerdì sera e il sabato, quando si svolge la festività ebraica dello Shabbat.